lunedì 26 settembre 2016

Se l'Italia somigliasse a Jovanotti - di Marino Bartoletti

Lo so che l’hai visto, caro Direttore. E so che ne hai respirato a pieni polmoni l’entusiasmo, l’elettricità, il talento, la creatività, il sentimento, la voglia di trasmettere quella positività che sembra faccia a pugni con la malinconia di questo Paese che sei costretto a raccontare tutti i giorni. Come sarebbe bello se l’Italia gli assomigliasse: lui che sa essere poeta e guerriero, sognatore e trascinatore. Lui che ha sempre saputo migliorarsi, mettendo a frutto gli errori e persino il dolore.
Corre Lorenzo Jovanotti, corre: su quel palco sconfinato che potrebbe essere la metafora di tanti nostri passi perduti e che invece sotto i suoi piedi diventa un terreno di conquista, di forza e di passione. Corre: ma contrario di Forrest Gump non si sente mai “stanchino”. Corre e salta. Salta e canta. E soprattutto incanta
Stasera si esibirà a Roma: e invidio chi ci sarà. L’altra sera a Bologna, alla fine del suo settimo concerto del tour 2015, mi sono ritrovato a guardare lo stadio che non si svuotava neanche dopo la sua ultima canzone: il pubblico era inebetito, prima ancora che ammirato, appagato, felice. E mi sono domandato quante altre volte nella mia vita avessi provato un’emozione così intensa. E a chi me lo ha chiesto esplicitamente, quasi leggendomi nel pensiero, ho risposto : ”E’ come se avessi appena visto una finale mondiale”!
E dire che di concerti ne ho visti tanti (e anche… di finali mondiali per la verità)! Ma raramente sazietà e ammirazione si erano fuse con tanta intima emozione. “Esiste nello sport un campione così generoso?” mi ha chiesto lo stesso interlocutore che avevo vicino (di cui non rivelo l’identità, ma che è una delle menti più ammirate - e per quanto mi riguarda più illuminate - del sistema imprenditoriale italiano). Bella domanda. “Ho visto sportivi stremati alle fine di una partita. Ma non ho mai visto qualcuno spendere tutto se stesso per due ore e mezza con tanta energia e con tanta generosità. Lorenzo è un artista certo, sempre più bravo, sempre più maturo, sempre più “contagioso”, ma è soprattutto il più grande “atleta da palcoscenico” mai ammirato in questo Paese. In altre parole, un “campione” vero!”
Non si candida a esempio, ma E’ un esempio. Potrebbe prendere un microfono in mano e attaccare “Serenata Rap”, o “Bella”, o i nuovi “Sabato” e “Estate addosso”, o “A te” (rileggete ogni tanto le parole di questa canzone e scoprirete una frase, un passaggio, un concetto che credevate solo vostro e chi vi farà chiedere “ma a lui chi gliel’ha raccontato la mia vita?”): potrebbe “cantare e basta”. E invece porta in scena un one man-musical che mi ha indotto a messaggiare in tempo reale a una persona a lui molto vicina: “Uno show così, per potenza scenica, per qualità e generosità artistica, per raffinata modernità, in Italia non si era MAI visto”. Potrebbe cantare e basta, dicevo. E invece ha esagerato fino al fantasmagorico, portando sul palco una specie di film di fantascienza, i cui effetti speciali sono frutto di una volontà, di una gestazione, di una progettualità, di una perfezione assolutamente estranee al nostro concetto di “spettacolo”. Tutto sembra sovrastarlo (a cominciare dal maxischermo grande quasi come un campo di calcio) e invece tutto viene non dico piegato, ma certamente amalgamato alla coerenza artistica che ha voluto mettere in scena. Tutto scritto, tutto preparato, tutto tradotto in pratica: ma poi arriva lui, domatore dell’impensabile, che riprende in ogni momento la centralità dell’evento.
Della sua band da urlo hanno scritto tutti: così come della pertinente stravaganza e bellezza dei costumi, della perfezione maniacale dei contributi video e della regia che non sbaglia un colpo. Io ci aggiungo il nome di chi lo ha messo così in forma: si chiama Fabrizio Borra. C’è un campione di Formula Uno che non andrebbe mai in pista se non lo avesse vicino: e di certo Lorenzo non scenderebbe mai nell’arena se non ci fosse Fabrizio a preparargli e a rilassargli i muscoli e, di conseguenza, il cervello per un’esibizione che prosciugherebbe qualsiasi uomo di sport
E’ un uomo libero, Lorenzo. Di cui tanti in questi anni si sono voluti “appropriare”; ma che alla fine - passando anche attraverso l’umana convenienza, anche attraverso l’ingenuità - ha piegato tutti alla forza della sua intelligenza non condizionata. Ha ragione Paolo Giordano che, sottolineandone la maturazione, ha scritto di lui che da Modugno in poi è “il quarto punto di svolta nella storia della musica leggera italiana” e che “dovrebbe servire ad esempio a chi non ha ancora capito che per riuscire a farcela bisogna lavorare sodo e crederci fino in fondo”.
“Tendo all’entusiasmo - ha spiegato Lorenzo - perché lo considero uno strumento più efficace della rassegnazione”. Mi piacerebbe che fosse il centoquarantesimo articolo della Costituzione.

Nessun commento:

Posta un commento